1983-2021 con le canzoni, con amore e con il cuore, Toto Cutugno continua a raccontarci cosa vuol dire essere "italiani veri" e lasciateci cantare!
Buongiorno Italia!
Caroselli e festeggiamenti di ogni tipo hanno recentemente inondato il nostro bellissimo “stivale” di cui -nonostante un burrascoso 2020- possiamo solo che andare fieri.
Rimanendo fedeli all’umiltà, l’eccellenza non dovrebbe divenire di certo un vanto eppure c’è da dirlo: il 2021 rappresenta sicuramente l’anno della rinascita dell’Italia. Indiscutibili successi che hanno coinvolto ambiti tra loro distanti eppure ad oggi così vicini, accumunati dal trionfo e la collettività.
“Io non mi sento italiano ma per fortuna o purtroppo lo sono.”
Giorgio Gaber
Il paese tanto criticato, delle volte dal suo stesso popolo ma che all’occorrenza è capace di mostrare un’ammirevole solidarietà e resilienza, il mix ideale per il raggiungimento del riscatto agli occhi del mondo. Quindi, lasciateci cantare, perché ne siamo fieri e siamo italiani veri!
A raccontarcelo con quel motivetto indimenticabile è stato proprio il primo nonché l’unico – o quasi- “italiano vero”, uno dei beniamini del Festival di Sanremo, Toto Cutugno.
Colonna sonora dell’estate del 1983 -e anche del 2021- , brano intramontabile e una delle canzoni italiane più conosciute e cantate al di fuori dei confini nostrani che ha assicurato una carriera all’estero al cantate di Tendola.
Figlio di una casalinga e un trombettista di notte, sottufficiale di Marina di giorno , Toto Cutugno eredita con gioia il talento musicale destreggiandosi già in tenera età tra batteria e fisarmonica, un imprinting innocente ma che rivelerà una passione innata per la composizione. Dalla cameretta di Tendola al palcoscenico il passo è breve, prima i Toto & i Rockers, i Ghigo, gli Albatros e poi Sanremo.
Figura immancabile sotto i riflettori dell’Ariston, Toto percorrerà per anni la famosa scalinata fino a che ai suoi piedi solleverà l’ambìto premio del Festival nel 1980 cantando Solo noi che lo porterà ad aggiudicarsi il 2º posto in Hit parade e una posizione nella Top 20 dei singoli più venduti di quell’anno.
A conferma del triste fatto che alcune storie si vivono ed altre si raccontano, la carriera di Toto Cutugno rientra proprio nella prima categoria, una testimonianza che solo chi tiene tra le mani i suoi 45 giri può dire di aver vissuto a pieno. Così come l’indimenticabile serata dove Cutugno presentò quel pezzo scritto in Canada e poi approdato qui, nella sua terra.
Ma se quell’intramontabile ritornello non fosse stato cantato da Toto Cutugno?
-“Eravamo a mangiare con i miei musicisti, i ragazzi portavano sempre la chitarra. E ho detto: dammi la chitarra, ho fatto un La minore e ho canticchiato lasciatemi cantare…ho preso un pezzo di carta e ho scritto le note. L’abbiamo fatta per Celentano, andiamo da lui che stava facendo ?Il bisbetico domato’ con la Muti, ci fermiamo in roulotte e gli dico ?Adriano questa è una canzone pazzesca’ e avevo già scritto 13 canzoni per lui. Lui la sente e mi dice: Questa canzone e non la farò mai, perché non ho bisogno di dire sono un italiano vero, la gente lo sa“.
Il Molleggiato ha messo a segno indiscutibili colpi da maestro nel corso della propria carriera aggiudicandosi un posto tra i grandi del cantautorato italiano, eppure, aver chiuso la porta in faccia al brano di Cutugno ci aiuta ad interrogarci su cosa vuol dire essere un italiano vero?
Toto, giocando con una serie di luoghi comuni del “Bel Paese”, ci racconta della passione per il calcio che da sempre ci fa battere il cuore, degli spaghetti al dente, di Pertini (un partigiano come Presidente), dell’autoradio, delle canzoni, di quella disinvoltura sessuale con più donne sempre meno suore, della moviola la domenica in TV, del caffè ristretto e di tutte quelle piccole grandi cose che ogni giorno ci fanno dire:“sono un italiano, un italiano vero”.