Ogni mese, ogni settimana, ogni giorno escono nuove canzoni. Ma quante di queste sono realmente belle? Riusciremo a trovarne almeno una al mese degna di potersi fregiare.
Pandemia dietro le finestre, guerra alle porte, economia alla canna del gas che non c’è… se c’è una cosa che non ci manca è lo stress: ma per fortuna ci sono le canzoni leggere dell’estate, come No stress (guarda un po’) che ci propone un Marco Mengoni sforna singoli in forma. Da alcune settimane nelle radio e nei cellulari, No stress è un buon brano, che contiene tutta una serie di tendenze, interessanti ma anche opinabili, soprattutto linguistiche e stilistiche.
Anche in questo caso Mengoni firma la canzone insieme ad altre note penne di successo della canzone italiana degli ultimi anni, come il cantautore Tropico, al secolo Davide Petrella – in primis – e Zef. No stress è una canzone che, almeno, mantiene le aspettative del titolo, alleggerendo la giornata o i tre minuti di ascolto. Ed oltre ad una musica semplice ma efficace, spensierata e ritmata, con l’occhio strizzato a sonorità attuali, c’è un testo dalla scrittura moderna (a volte forse anche sedicente tale ma senza effettivo valore, ma fa niente, in casi come questi, dove lo scopo non è il capolavoro ma lo svago).
Interessante l’uso di parole inusuali come marshmallow all’inizio della canzone, che fa rima con yellow (rima perfetta ma utilizzo quantomeno opinabile), ma anche con ostello (sempre inconsueta ma meno forzata come l’utilizzo di una parola inglese tanto per e non con un reale assorbimento dalla lingua italiana): Nuvole nel cielo, marshmallow. Gioventù bruciata in ostello. Fa buio nelle retrovie, ma se arrivi tu, torna un sole yellow. Interessanti anche altre soluzioni metriche che cercano di svecchiare (riuscendoci) il parco rime a disposizione e usato dagli autori con rime e assonanze prese in prestito ad esempio dal cinema.
Vediamone alcune: Forse tu hai ragione, io sbaglio. Mi dici dove corri, John Rambo? Diversi come techno e tango. Easy rider, sbando. Certo, a ben vedere, o meglio ascoltare, è un po’ difficile trovare un gran senso compiuto in questa quartina; ma anche questo sembra essere tratto comune di varie canzoni attuali, che forse non comprendiamo e non ci importa perché tanto con l’ascolto distratto che abbiamo non capiremmo lo stesso. Un po’ come quegli “Hey baby” che troviamo buttati lì in questa e in altre canzoni, che ci suonano familiari perché ripresi nell’uso dai testi di sempre della musica di lingua anglosassone, ma che forse non sono proprio l’optimum e si potrebbe trovare il modo di farne a meno, senza fare gli americani (come direbbe Carosone) per forza. Soprattutto quando in fondo basterebbe già la forza della canzone e dell’artista, come in questo caso.