Cantastorie – Francesco De Gregori, il musicante

Storie di cantastorie che non invecchiano mai e che mai ci stancheremo di raccontarvi.

“Il ragazzo ha capelli rossi ed occhi blu”, quei capelli che, al liceo, vuole acconciati per somigliare a De André. Si presenta dal barbiere con una foto di Faber e ci rimane malissimo quando lui gli risponde che domare i suoi ricci fulvi sarebbe un’impresa impossibile. “Il ragazzo sale molto spesso sopra un albero che sa. / Tutto solo sopra un ramo guarda il cielo / e forse anche più in là.” Quel ragazzo che sa guardare al di là del cielo è Francesco de Gregori. Fa la sezione G del Virgilio di Roma e alla ricreazione, in cortile – tra chi fuma, chi gioca a pallone e chi chiacchiera – lui tira fuori la chitarra.

Agli inizi degli anni ’70, Francesco scrive già canzoni che è troppo timido per cantare in pubblico, almeno finché suo fratello Luigi (anche lui un aspirante cantautore) non lo trascina sul palco del Folkstudio, un localino di Trastevere dove dieci anni prima si è esibito quasi per caso un ancora sconosciuto Bob Dylan (un altro dei miti, insieme a Faber, di De Gregori.) Lì bazzicano giovani musicisti come Antonello Venditti, Giorgio Lo Cascio ed Ernesto Bassignano, con cui nasce subito una collaborazione. Vi ricordate Notte prima degli esami? Il primo verso, che canta di “quattro ragazzi con la chitarra e un pianoforte sulla spalla”? Beh, quei quattro ragazzi sono loro: De Gregori, Lo Cascio, Venditti e Bassignano, “I giovani del folk”.

Dopo una breve collaborazione con Lo Cascio, naufragata ancor prima di concretizzarsi, incide il suo primo album: Theorius Campus, firmato Venditti-De Gregori. Nel corso della sua carriera, De Gregori non si lega soltanto al nome di Venditti, ma a quelli di diversi musicisti e cantautori. Edoardo De Angelis, con cui scrive a quattro mani La casa di Hilde e che collabora ai due album degli esordi, Alice non lo sa e Francesco de Gregori, Renato Zenobi, chitarra solista di Rimmel, ma soprattutto Fabrizio De Andrè – conosciuto al Folkstudio durante un’esibizione di Francesco in una parodia scatologica de La guerra di Piero – con cui collabora per il concepimento di Voume 8, e Lucio Dalla, che lo affianca prima per Buffalo Bill, poi nella celebre tournée Banana Republic, nel ’79.

Ne è passata di acqua sotto i ponti dalla “friggitoria chantant”, da La cacca di Piero, dalle prime critiche su qualche giornaletto musicale di serie b – in cui magari sbagliano pure il titolo di una canzone, travisando l’evocativo Signora Aquilone in un fantozziano La signora Piloni – dalle schitarrate alla ricreazione, dai quattro ragazzi di Notte prima degli esami.

E mentre ancora ci si domanda chi sia Alice, se uno dei tanti volti femminili che la sua penna ha saputo tratteggiare con tanta delicatezza – come La donna cannone, Mimì o Irene con il telefono staccato, che somiglia alla Nancy di Cohen – un personaggio di Carrol o un’allegoria dell’indifferenza della società, mentre si discute se De Gregori sia stato o meno un “cantautore impegnato”, con le sue Pablo, Generale, Viva l’Italia o San Lorenzo – proprio lui, che i compagni processarono al Palalido di Milano – lui, a quasi settant’anni, non ha mai abbandonato il suo mestiere. Preferisce continuare a scrivere quello che gli passa per la testa, a costo lasciarsi processare di nuovo – stavolta non dai contestatori, ma dai suoi estimatori – a costo di non essere compreso. “I musicanti accordano il violino, / stasera suoneranno sulla luna / e non importa niente / se la gente del caffè / non capirà la loro anima. / I musicanti non piangono mai.”

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