Cantastorie – Un miserere senza lacrime per Piero Ciampi

Storie di cantastorie che non invecchiano mai e che mai ci stancheremo di raccontarvi.

“Il cantante di domani lo lanceranno come un detersivo. Questo giovanotto si chiama Piero Litaliano e il suo nome, fra qualche mese, sarà sulla bocca di tutti: sono già pronti i dischi, i manifesti e gli slogans pubblicitari.” Siamo agli inizi degli anni ’60 e qualcuno, in quest’articolo del settimanale La Domenica del Corriere, ironizza sulla massificazione dell’industria discografica. Una polemica che in più di mezzo secolo non è mai passata di moda. “È il cantante nuovo costruito scientificamente per il 1962. L’hanno fatto in provetta, è un prodotto industriale. Il gioco è fatto. La fortuna è arrivata al momento giusto, ora basta afferrarla e tenerla stretta.” In verità la fortuna, per “il cantante di domani”, non arriverà mai.

Litaliano. Dietro questo pseudonimo che suona un po’ patriottardo si nasconde Piero Ciampi, livornese, classe 1934. Il nome d’arte è un souvenir di viaggio, uno dei tanti viaggi che insieme al vino e alle bagarre saranno la costante della sua vita. È sua abitudine saltare su un treno, solo e senza un soldo in tasca, e andarsene a Genova, a Roma o a Milano, dove divide la soffitta di Gino Paoli, amico di una vita, con altri due poveracci (sono Luigi Tenco e Gian Piero Reverberi, forse li avrete sentiti nominare).

Nel ’57 è nella Parigi di Brassens a far la vita squattrinata dei maudits e del suo concittadino Modigliani. La sera suona per pochi spiccioli in qualche bistrot ed è lì che si guadagna il soprannome di “Litalianò” (con l’accento alla francese). Ma il cuore l’ha lasciato sul porto di Livorno e i suoi vagabondaggi lo riportano sempre a casa: al suo quartiere, il Pontino – dove le strade hanno nomi di prostitute e di vecchie osterie – a quella città che è come un’isola e di cui, dice, si sente un po’ il Robinson Crusoe.

Il primo album firmato Piero Litaliano, 1963

Il soprannome parigino non gli porterà fortuna. La sua carriera è una tragicomica collezione di insuccessi a cominciare dal primo album, sdegnato dal pubblico e stroncato dalla critica, che lo definisce “crepuscolare e sonnolento”, “nebbioso”, addirittura “snervante”. I versi aspri, le melodie tronche che non canta, ma che sembrano cascargli stancamente dalla bocca risultano inascoltabili al consumatore medio di canzonette all’italiana. E anche quando Ciampi tenta di scriverla, qualche canzonetta, e magari farla cantare a Gigliola Cinquetti (che lo porterà addirittura a Sanremo), la svolta tanto attesa non arriva.

Gli viene affidata la direzione artistica di una piccola etichetta discografica, la Ariel, e lui in pochi mesi la porta al fallimento. Mentre si affoga nel vino – “com’è bello il vino, rosso rosso rosso” – lascia che tutto affondi insieme a lui. Intanto le fughe continuano: Stoccolma, Barcellona, l’Irlanda, forse Tokyo. Sul suo passaporto malandato, alla voce “professione”, fa scrivere “poeta”. Forse fu questo l’unico vezzo – se vezzo lo si può chiamare – di Piero Ciampi.

È il 1970 quando, una sera, si ritrova a strimpellare al pianoforte in compagnia di un tale Gianni Marchetti, musicista semisconosciuto che scrive colonne sonore per il cinema. Da quell’incontro provvidenziale nasce un’amicizia e un sodalizio artistico cui apparterranno grandi capolavori – Tu no, Il merlo o l’album Ho scoperto che esisto anch’io, interpretato da Nada – che tuttavia non basteranno a consacrare i due autori al successo. Con la bottiglia sempre tra le mani, la voce arrochita dall’alcol e il vizio di mandare a quel paese il pubblico durante le sue esibizioni, Piero Ciampi Ha tutte le carte in regola per essere un artista.

In questo suo autoritratto c’è tutta la sua vita vissuta “male, ma con grande amore”. Il vino, le cattive compagnie di “pittori ciechi, musicisti sordi, giocatori sfortunati, scrittori monchi”, le sole due donne che, tra le tante, abbia amato e che sono scappate con i figli per mano dopo neanche un anno. “Tu no, tu non puoi andare via, se non so farti felice, anche se continuo a bere”, ma Ciampi canta per nessuno: come Brel in Ne me quitte pas sa già d’essere rimasto solo. Un cancro alla gola se lo porterà via ancora giovane pur di non dargli la soddisfazione di morire, come un vero artista, di cirrosi epatica.

Così Piero Ciampi fu “il cantante di domani”, un domani che è passato senza mai arrivare. Di lui si sente parlar poco, ma chi lo ricorda, lo ricorda poeta. Dev’esserlo stato davvero, se c’era scritto sul suo passaporto.

Consigli spassionati per appassionati

  • Il vino, elogio infantile e disperato dell’autodistruzione
  • Il merlo, curiosamente ispirata dal merlo di Moravia, che a Roma fu dirimpettaio di Ciampi
  • Come faceva freddo, scritta per la voce di Nada
  • Ha tutte le carte in regola, un autoritratto
  • Adius, da dedicare sentitamente