"Doopamina" nasce dalla penna e dall'anima di Albert, giovane cantautore milanese. Nella nostra intervista abbiamo parlato di teatro canzone, di nuove date live e di emozioni. Ecco cosa ci ha raccontato Albert.
Il giovane cantautore Albert si ispira a tutti i grandi che hanno fatto della canzone un’arte. De Andrè, Gaber, Bennato sono i maestri che lo hanno ispirato nel suo percorso artistico. Un percorso partito dal rap e sfociato nel pop e che abbraccia il teatro canzone. “Dopamina” è il nuovo singolo di Albert, ecco cosa ci ha raccontato nella nostra videointervista.
A tutti i nostri lettori che ancora non hanno ascoltato le tue canzoni e non ti conoscono, racconta in poche parole chi è Albert artista…
Io sono un cantautore milanese, ho 25 anni e sono un cantautore che ha iniziato a fare musica grazie al rap. Con il rap ho scoperto la bellezza delle parole ma allo stesso tempo sono molto legato ai cantautori classici come De Andrè, Bennato, Gaber e Dalla. Quindi mischio queste due generi in un genere unico che io chiamo il “canta attore”, ovvero, colui che interpreta le sue stesse canzoni.
Il “canta attore” che ricorda molto il teatro canzone, quel filone lì…
Esattamente, io infatti sono molto appassionato di storytelling. La mia musica si colloca molto in quel filone lì.
Adesso entriamo nel vivo della tua musica con “Dopamina” il tuo ultimo singolo. Raccontaci la sua genesi e cos’è per te la dopamina.
Dopamina è un brano che nasce da un ritrovamento di una foto di me con mio padre di quasi 20 anni fa. L’effetto che mi ha suscitato è un effetto comune a tutti gli essere umani. Da una parte mi ha suscitato simpatia, ironia e dall’altra mi ha suscitato la malinconia nel rivedere un periodo della tua vita e della vita di qualcun altro dove non puoi tornare e non potrà ritornare. Quindi questo doppio effetto alza e abbassa la dopamina che è il recettore che ci permette di stare bene ma anche male. Il nome dopamina e tutta la canzone nasce da questo ricordo, da una storia triste che è la perdita di un genitore ma riesce a trovare la sua rivalsa nell’essere compresa e carpita dal pubblico. Si coglie un problema e lo si affronta.
C’è una frase che mi ha colpito molto: “Fare i grandi non è un gioco per tutti, fare giochi non è cosa da adulti”…
Questa è una frase legata al mio contesto personale. Ho perso mio padre a 16 anni, in una fase dove non si è adulti ma non si è neanche più bambini. Questa frase è un monito per me ma anche una riflessione sulle scelte che mio padre ha fatto. Essere grandi, avere dei figli non è una cosa che si fa a cuor leggero, ha degli oneri e degli onori. Allo stesso tempo fare i giochi, divertirsi non pensare a questo tipo di problematiche non è una cosa da adulti che sono sempre immersi in questo tipo di responsabilità.
I tuoi brani sono molto intensi dal punto di vista delle tematiche e dalle emozioni che ci metti dentro. Solitamente sono molto complicate anche da descrivere e trasmettere a chi ti ascolta. Come trovi la tua chiave per far si che una canzone abbia tutto questo anche dal punto di vista del linguaggio e di musicalità?
Io difficilmente penso a cosa scrivere nel momento in cui lo scrivo. Mi faccio molto trasportare dalle parole. Per me l’italiano è una lingua stupenda perché ha un sacco di sinonimi e di contrari ma anche vocaboli che possono essere usati per sintetizzare ciò che una persona direbbe in due righe. Il dono della sintesi quindi, in una lingua come l’italiano mi consente di usare termini che sono ricercati e anche gerghiali per esprimere un concetto che sia capito subito dalle persone. Faccio convivere testi profondi con suoni che siano attraenti per chi li ascolta.
Questo avviene in modo “naturale” oppure ci hai lavorato per arrivare a questo modus operandi?
Ho fatto dei corsi di scrittura creativa e songwriting che mi hanno insegnato a saper scrivere al di là del tuo fine. Tu devi saper scrivere comunque in una maniera che sia chiara. Questa cosa l’ho trasportata in musica, la mia scrittura era legata alle rime, alle barre essendo partito dal rap. Il pop mi ha permesso di gestire meglio i vocaboli.
Sei partito dal rap e sei arrivato al pop. Questo processo, questo cambiamento è avvenuto naturalmente, hai avuto paura?
All’inizio ho avuto paura perché questo cambiamento è coinciso con il mio entrare in Warner. Entrando in una major i miei fan avevo paura pensassero che io volessi fare solo cose commerciali mirate a vendere. Ormai questo concetto è superato. Quando ho scritto il mio primo brano con un autore “Orme” mi resi conto che c’erano delle cose che suonavano molto bene e che non avrei saputo fare. Ho condiviso il mio lavoro con altri e quando collabori con altri devi essere più oggettivo anche sulla tua musica.
-Quanto è importante il team che circonda un artista? Di solito gli ascoltatori si concentrano sulla figura del cantante del frontman senza considerare il lavoro corale che c’è dietro . Tu come ti trovi in questa dimensione?
Io sono selfmade come mentalità, di solito non condivido il lavoro se non necessario. La musica è legata molto al cantautorato ed è una cosa molto personale. Dal punto di vista del marketing e della comunicazione mi faccio guidare da un team che è fondamentale.
Dopo “Dopamina” cosa accade?
Abbiamo in programma due date: a Bologna e a Genova. Ci stiamo muovendo, questa estate ci muoveremo di più. Uscirà un nuovo singolo che sarà molto estivo ma anche per tutto l’anno. “Dopamina” avevo l’esigenza di farlo uscire, è molto personale e stacca dai precedenti. Gli altri pezzi saranno più radiofonici, più generali.