Alex Britti ci racconta "Mojo" il suo primo lavoro interamente strumentale. L'artista ci racconta i suoni, le emozioni e la sua visione musicale.
Alex Britti ha pubblicato l’album strumentale “Mojo“. Britti è uno dei bluesman tra i più bravi ed eclettici della scena italiana ed internazionale e “Mojo” è il primo attesissimo lavoro interamente strumentale.
Alex Britti in “Mojo” fonde la sua sensibilità ritmica e armonica molto avanzate con lo stile inconfondibile e l’unicità del suono della sua chitarra, prende spunto dal blues, ma attinge a piene mani da qualsiasi genere sia del passato che presente, ricreando così una sorta di melting pot delle fluidità. Abbiamo incontrato Britti per una video intervista a La Casa Del Jazz, ecco cosa ci ha raccontato.
Ciao Alex, raccontaci il processo creativo che ti ha portato a realizzare questo album così sperimentale e intenso dal punto di vista emotivo…
Il processo creativo è quello che ho da tanti anni, ho sempre cercato di infilare almeno un brano strumentale in tutti i dischi che ho fatto. Mi sono sentito in dovere di farne uno interamente strumentale perché era un’esigenza interiore, un’esigenza artistica. Fare solamente il cantante non mi faceva tirare fuori tutte le sfaccettature della mia personalità artistica.
Dal punto di vista delle sonorità è molto ricco c’è la chitarra protagonista ma c’è anche molta sperimentazione, evoluzione… Quindi volevo chiederti anche di parlarci della ricerca dei suoni…
Cerco sempre di essere attento a quello che succede nel mondo non solo per informarmi ma per poi godermele le cose. Quindi ci sono molte sonorità di generi che arrivano meno in Europa ma che sono molto appaganti, uno di questi è sicuramente il new jazz, dove si fondono diversi tipi di cultura. Il jazz storicamente nasce per strada e non nei salotti e oggi per strada ci sono i musicisti ma anche i rapper. Ci sono anche altri tipi di contaminazione, ci sono i DJ. Oggi si va ad ascoltare la musica ma si va anche in discoteca. La maggior parte dei ragazzi ma anche 50enni quante volte vanno ad ascoltare un concerto o in un locale? Io cerco di parlare il linguaggio di oggi e non quello di quaranta anni fa pur continuando a far blues e jazz ed è per questo io “mangiando” tanti generi diversi, sono fatto di tanti generi diversi. Senti la chitarra blues, la contaminazione jazzistica poi l’atmosfera da rapper o la musica elettronica. Fa parte del mio essere.
Secondo te perché il jazz o altri generi musicali vengono ascoltati di meno rispetto ad altri?
Secondo me vengono ascoltati meno perché vengno proposti meno. Parliamo dei ragazzi… su 100 quanti propongono la trap e quanti il jazz? Ce ne è di meno perché viene proposto meno. Certe cose sono anche più semplici o immediate, non tanto fare il rapper o fare la trap ma “far finta che”… Con il blues e con il jazz non puoi “far finta che”. Non basta un telefonino, due filtri e due beat e far finta di essere un jazzista. Bisogna essere preparati e aver studiato. Non condanno nessuno, fanno bene a farlo. Oggi vogliono tutti fare i trapper o rapper e i cantanti con le canzoni furbe dell’estate e propongono milioni di quelle cose e uno invece propone il jazz.
Cosa consiglieresti a un giovane che vuole approcciarsi alla musica e allo studio di uno strumento o del canto?
Non so cosa consigliare… Io posso consigliare quello che è giusto per me ma magari non è giusto per un altro. Consiglierei di divertirsi e se vuoi fare jazz allora studia, se vuoi solo divertirti con il telefonino e fare follower, fallo non c’è nulla di male. Ognuno deve fare quello che si sente nel cuore e nella testa.
Tornando al disco, c’è un brano che mi ha colpito molto che è “Insomnia”…
Insomnia è un blues normale però è una normalità distorta, ascoltata dalle orecchie di uno che non riesce a dormire di notte. Di notte se tu ti svegli e non riesci a dormire le cose che di giorno affronteresti in modo normalissime tu le vedi distorte, dissonanti. è un giro di blues normale ascoltato da chi non riesce a dormire di notte quindi diventa dissonante, marcio come se si stesse sciogliendo qualcosa. Quindi sia nel tema che nell’assolo ho cercato di dare questa sonorità sempre strana e dissonante ai limiti dell’intonazione. Sono uscito dagli schemi e questo è insomnia.
Sicuramente questo è un album che esce fuori dagli schemi e ascoltandolo il suono rispecchia i sentimenti che suscita. Anche il titolo rispecchia quello che si ascolta.
Bé si perché Mojo è una parola che ti porta in un territorio musicale ben preciso e quindi sia dal titolo che dalla copertina si capisce tutto. La copertina ci sto io ad Ostia con il divano l’amplificatore e la chitarra, mi piace stare al mare e suonare la chitarra. Non mi piace cavalcare la città, i locali, i social, le classifiche e un certo tipo di mondo. Sono uno che vive tutto in modo intenso ma sempre con il giusto distacco tranne la musica e la chitarra.
Nella dimensione live invece cosa ritrova lo spettatore sul palco?
Il Mojo Tour è come il disco, tanta chitarra, tutto il disco e anche tanti brani e tanta improvvisazione. Canterò qualche brano degli album passati ma cerco di non cantare i tormentoni ma cantare quelle canzoni che hanno avuto meno attenzione durante la vita dell’album, che non sono diventati dei singoli e che magari mi piacevano un sacco e invece avrei oluti farli uscire in un certo modo.
Un titolo su tutti?
“Le cose che ci uniscono” è una canzone che a me è sempre piaciuta tantissimo ma che non mi è mai stato permesso che diventasse un singolo.