È disponibile in tutte le librerie “Rockers. Diario Sulle Strade Del Rock’n’roll” edito da Officina Di Hank (collana Ghost Tracks) di Fausto Donato, A&R Manager/Direttore Artistico che ha lavorato per più di 30 anni nelle più prestigiose case discografiche italiane. Ecco cosa ci ha raccontato lui
È disponibile in tutte le librerie “Rockers. Diario Sulle Strade Del Rock’n’roll” edito da Officina Di Hank (collana Ghost Tracks) di Fausto Donato, A&R Manager/Direttore Artistico che ha lavorato per più di 30 anni nelle più prestigiose case discografiche italiane. Dai ricordi e le storie vissute da quattro ragazzi in giro per gli States e per l’Italia degli anni ’80, prende forma un’autobiografia che descrive un decennio in cui la musica è stata la protagonista indiscussa. La prefazione porta la firma di Caparezza, artista a cui Fausto Donato ha dedicato una parte importante della sua carriera e con il quale, nel tempo, si è instaurato anche un vero rapporto di amicizia. Ecco cosa ci ha raccontato Fausto Donato, tra aneddoti e riflessioni anche sul panorama attuale della musica italiana.
Musicista, scrittore, manager: in quale veste ti ritrovi di più e che modelli hai seguito?
Musicista, nel corso degli anni ho formato delle band e poi mi sono ritrovato il discografico. A dir la verità mi sono trovato bene in tutte, perché per come sono fatto io se sto scomodo in un ruolo, mollo subito. Quando ho iniziato a fare il discografico all’inizio ero titubante, poi l’ho vissuta a mio modo evitando di fare gli errori che i discografici hanno fatto con me. I miei modelli? Musicalmente ho i miei miti: Jimi Hendrix sicuramente. E poi il punk.
Ad esempio?
Quel rimandare, non essere chiari, quel dire ?sì, mi piace quello che fai però…”. Il lato totalmente commerciale mi ha sempre dato molto fastidio. Rinunciammo ad alcuni contratti discografici per questo motivo, noi abbiamo sempre avuto una nostra identità. A lungo termine credo che questo tipo di atteggiamento premia. Dipende da quello che vuoi fare, se pensi solo ai soldi oppure poi vuoi anche guardarti allo specchio. Di questo ne parlo spesso anche con Caparezza.
Veniamo al libro: com’è nata l’idea e come avete scelto il titolo?
Michele (Salvemini, ovvero Caparezza, ndr) mi ha sempre spronato a scrivere questo libro. Ho atteso parecchi anni poi, ad un certo punto, siamo stati costretti a stare chiusi tutti dentro casa. A me non andava di andare in terrazzino a suonare la chitarra né a fare il cuoco o il giardiniere. Mi sono messo lì e ho scritto. È la storia di un tour negli States nel 1985, un diario di quei tre mesi dove ne sono successe di tutti i colori. Risvolti personali, quello che vedevamo dai finestrini. Abbiamo visto un’America che non si vede e purtroppo una che si conosce, la parte più brutta. Però è stato entusiasmante. Il titolo deriva invece da una nostra canzone, poi è piaciuto ai nostri editori e lo abbiamo scelto.
Un piccolo aneddoto?
Quando abbiamo subìto il razzismo. Nel Nord America eravamo stati accolti benissimo poi invece in Alabama siamo stati cacciati da un piccolo villaggio perché non eravamo americani. Oppure ancora minacciati con un fucile a pompa. Pensavo che questo accadesse solo nei film, e invece…
Parlando del rock italiano invece pensi che ci sia qualcuno che valga?
A me sono sempre piaciuti i Verdena, i Negrita, i Litfiba. Sono contento di ciò che sta accadendo attorno ai Maneskin anche se musicalmente ancora mancano loro ?le canzoni’. Però sono contento che esistano perché mi immagino a casa i ragazzini che chiedono ai genitori: ?Mi compri la chitarra?’, ?Mi compri il basso?’.
Progetti futuri?
La promozione del libro certamente.