Ogni mese, ogni settimana, ogni giorno escono nuove canzoni. Ma quante di queste sono realmente belle? Riusciremo a trovarne almeno una a settimana degna di potersi fregiare.
Al Festival di Sanremo, quest’anno, qualche bella canzone c’era. Per fortuna. La prima di cui vogliamo parla re è quella che poteva arrivare al numero uno (perlomeno come canzone) e si dovrà accontentare di essere al numero uno in classifica e fra i probabili tormentoni della prossima estate. Parliamo di Musica leggerissima di Dimartino e Colapesce.
Un successo inaspettato ma evidente e meritato, anche se ci togliamo subito dalla scarpa il sassolino della somiglianza musicale con “Figlio di un re” di Cesare Cremonini e “Se mi lasci non vale” di Julio Iglesias. Un “espediente” che senz’altro contribuisce a riportare subito chi ascolta a certe atmosfere fine anni ’70 e ’80 (già rievocate in questi ultimi anni almeno da Tommaso Paradiso e i The Giornalisti) dove regnava quella leggerezza che la canzone vorrebbe regalarci in questo periodo un po’ pesante. E crediamo ci riesca. Non a caso la sala stampa di Sanremo gli ha attribuito il premio intitolato Lucio Dalla.
In questo periodo, le strade più logiche per scrivere una canzone da portare a Sanremo (a parte l’eterno tema dell’amore) erano due: o uscire di testa come hanno cantato i Maneskin o affidarsi alla musica, meglio se una musica leggera, anzi leggerissima. E allora Dimartino e Colapesce (strana accoppiata dei cantautori Antonio Di Martino e Colapesce, al secolo Lorenzo Urciullo) ci regalano un brano leggero, di cui tutti in fondo sentivamo il bisogno, per spensierarci per quei tre minuti di una canzone e farci sorridere e magari ballare un po’. Con un ritmo e con un impasto di voci che ricorda anche un po’ quello degli Zero Assoluto, i due cantautori inchiodano nelle nostre menti un ritornello che ascolteremo per molto, che mette la musica al centro, in un momento storico dove osserviamo con amarezza una scarsa considerazione della sua importanza sociale e culturale da parte delle Istituzioni, ma va beh lasciamo perdere.
Dicevamo che i due cantano di una musica che ci fa bene, anzi benissimo, perché nel ritornello dicono addirittura che la musica ci salva, ci impedisce di cadere in un buco nero. Nel silenzio assordante che c’è. E non è poco. Indicano poi anche tutti quei luoghi quotidiani di cui la musica è la colonna sonora (dentro i supermercati, nei quartieri assolati, in palestra…) e i fruitori, che sono di tutti i tipi (La cantano i soldati, i figli alcolizzati, i preti progressisti); e lo si fa anche con un pizzico i critica sociale che non guasta. Come nei versi: Se bastasse un concerto per far nascere un fiore, tra i palazzi distrutti dalle bombe nemiche, nel nome di un Dio che non esce fuori col temporale. Il bello è che tutto è detto intelligentemente con la stessa leggerezza che intitola il brano.
Quindi, una canzone meno leggera di quanto sembri, come anche nei versi: Metti un po’ di musica leggera… parole senza mistero (critica a tante canzoni di oggi, che più sono strane più sono convinti che siano belle), allegre, ma non troppo (con colto riferimento al film cult di animazione “Allegro non troppo” di Bruno Bozzetto, del 1976. Insomma, bravi e grazie per questa bella canzone leggera, anzi leggerissima.