Ogni mese, ogni settimana, ogni giorno escono nuove canzoni. Ma quante di queste sono realmente belle? Riusciremo a trovarne almeno una a settimana degna di potersi fregiare meritatamente di un appellativo come “bella”, se non in modo oggettivo, almeno in modo circostanziato? A prescindere d mode e fanatismi, gusti e preconcetti? Speriamo e ascoltiamo.
Mariella Nava torna a tre anni dall’ultimo album Epoca con un brano intenso e anticipatore di una prossima fatica discografica: Povero Dio. Una canzone riflessiva, ideale per questo lungo periodo di cosiddetto maledetto lockdown, ma in realtà scritta in tempi non sospetti e che a nostro avviso non avrebbe sfigurato in uno degli scorsi Festival di Sanremo, dal cui palco la nostra più brava cantautrice manca da troppo tempo, rara testimone di una nobile scrittura femminile, di qualità alta.
Una canzone che, come è facile intuire dal titolo, descrive con lo stile inconfondibile della grande cantautrice un Dio che è tutto fuorché amato, ricordato forse solo in casi estremi, per paura (Povero Dio tirato a sorte, forse credibile soltanto in punto di morte), un Dio di cui sentiamo bisogno ma a cui ci affidiamo per comodo, che non ha nulla di religioso ma più di superstizioso e moralmente opportunista. Povero Dio, tirato in ballo di qua e di là spesso a sproposito o per mascherarsene… La Nava si mostra in forma in un’elencazione di possibili “Dio” (dei cambiamenti degli smarrimenti, delle speranze, delle finite istanze, di investimenti Dio dei giuramenti), fatta con le perfette cifre – compositiva e narrativa – a cui ci abituati nel tempo scrivendo capolavori come la sua Piano inclinato o Spalle al muro (portata al successo da una magistrale interpretazione di Renato Zero) o Per amore portata sui palcoscenici del mondo da Andrea Bocelli.
Uno stile fatto di ricerca verbale (dubitiamo ci siano altre canzoni con la parola “concistoro” al suo interno: Dio segreto come un concistoro Dio che guardi Dio che benedici Dio in un coro) e rime cesellate (Dio dei campioni di televisioni e di argomenti intorno ai cromosomi), d’immagini abilmente giocate nel senso (Dio stonato come le campane) di armonie a volte fin troppo elaborate, ma così riconoscibile come sue da farne un punto di forza autorale. Povero Dio è tutto questo e molto di più, come la sua inconsueta struttura, dinamicamente non in crescendo ma al contrario, a sottolineare il viaggio emotivo che si fa sempre più interiore man mano che la canzone scorre.
Mariella Nava mostra la nostra fragilità di fronte a questo concetto di Dio, così più grande di noi, facendo partire la canzone con un intro musicale potente per arrivare ad un ritornello “svuotato”, insicuro come noi nel rivolgerci a lui, nel parlare di lui. Una sorta di preghiera in musica, a tratti così ricca che potrebbe risultare “difficile” ai più giovani distratti e incolti ascoltatori di oggi, ma che ci preme segnalare come bella canzone; una canzone come Dio, seppur povero, comanda.