Ogni mese, ogni settimana, ogni giorno escono nuove canzoni. Ma quante di queste sono realmente belle? Riusciremo a trovarne almeno una a settimana degna di potersi fregiare meritatamente di un appellativo come “bella”, se non in modo oggettivo, almeno in modo circostanziato? A prescindere d mode e fanatismi, gusti e preconcetti? Speriamo e ascoltiamo.
Dopo l’ottimo primo album da cantautore (Credo – prodotto nel 2018 da Renato Zero, che conteneva fra le altre la bellacanzone Il primo giorno dell’estate), Vincenzo Incenzo produce il suo nuovo disco di inediti (Ego) e ne anticipa l’uscita pubblicando la canzone Un’altra Italia.
Una canzone che mostra ancora una volta il talento di Incenzo, ben maturato in tanti anni di songwriting per grandi artisti come Venditti, Zarrillo, Ornella Vanoni, Patty Pravo, Tosca e Al Bano. Una canzone di forte e amara denuncia sociale, scaturita da un evidente grande amore per il proprio Paese, martoriato in questo momento da un virus biologico, ma che è stato e continua ad essere malato di scarsa meritocrazia e ignoranza, contagiato da tumori di malavita e malgoverno, ferito da mafie ed ingiustizie.
E tutto questo Incenzo ce lo canta con voce più graffiante del solito, quasi arrabbiata, in versi diretti e fraseggi poetici come la tradizione dei grandi cantautori ci ha regalato. Come in una novella Povera Patria (di Battiato), con un refrain che riporta al Com’è profondo il mare di dalliana memoria), con una spinta civile cara al Fossati de La canzone popolare, il cantautore romano ci regala un brano ricco di condivisibili invettive (da Repubblica è morta: orfani e cani si attaccano alla coda alla lista finale Un’altra Italia, dove chi è laureato non debba scappare, dove essere anziani non sia una vergogna, dove mai più nessuno muoia dentro un cantiere, nella lista d’attesa di un ospedale).
Ma Un’altra Italia è anche una canzone diresiliente speranza, in versi come quelli che lanciano i ritornelli (che torni l’alba presto coi suoi colori elementari e con un canto a illuminare l’aria) e perle poetiche che Incenzo sa incastonare perfettamente nella preziose tessiture dei suoi brani (credo alle pozzanghere che specchiano comete).
L’unica frase del ritornello (che poi è il titolo) viene ripetuta come in un mantra invocando l’arrivo, supplicando la richiesta o augurandosi la ricerca di “Un’altra Italia”. Un’Italia differente, che sappia valorizzare i propri talenti, evitando che fuggano all’estero per disperazione, che protegga chi lavora, particolarmente per la giustizia, fino all’estremo sacrificio (come il probabile riferimento a Falcone e Borsellino, simboli di tutti quelli che hanno pagato con la vita la difesa delle Istituzioni e del diritto nei versi: E ancora: E si onori chi è morto cercando giustizia, la casta non prenda in ostaggio un Paese, dove un crollo, una strage abbia nomi e cognomi, dove la minoranza non perda la voce).
La canzone ha anche un refrain inaspettato e provocatorio che recita Io non sono come te, che senza inutili buonismi critica certi comportamenti e malcostumi italiani e italioti, conscio che esista ancora una parte buona nel Paese, quello che nella farfalla della copertina del singolo ha ancora un’ala naturale, vera, viva, che sa volare; mentre l’altra è di carta, di carta stampata, metafora di falsità e fango, di fragilità e memoria a brevissimo termine. Una canzone dura, ma anche di consapevolezza che dà speranza a chi crede nell’ultimo verso di questa bella canzone: C’è un’altra Italia.